Massimo Centini (Torino 1955), laureato in Antropologia culturale, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino. Collabora con musei e altri enti italiani ed esteri; si occupa, in particolare, delle tematiche connesse al mito e alla religione. Insegna Antropologia culturale all’Università Popolare di Torino.
Tra i suoi innumerevoli saggi, ne citiamo alcuni connessi all’argomento:
Streghe, roghi e diavoli. I processi di stregoneria in Piemonte, L’arciere, Cuneo 1995.
Le schiave di Diana. Stregoneria e sciamanismo tra superstizione e demonizzazione, Genova 1994.
Le streghe nel mondo, De Vecchi, Milano 2002.
Le stregoneria, Xenia, Milano.
Il sapiente del bosco. Il mito dell’Uomo Selvatico nelle Alpi, Xenia, Milano 1989.
L’Uomo Selvaggio, antropologia di un mito della montagna, Priuli & Verlucca, Ivrea 2000.
Le bestie del diavolo. Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Milano 1998.
L'intervento di Massimo Centini si terrà
venerdì 31 agosto alle ore 21:00.
Quella che riportiamo qui di seguito è la
Premessa al recente libro di Massimo Centini:
La stregoneria in Valle di Susa e dintorni.
Un viaggio tra storia e tradizione, Susalibri 2006.
Quel complesso e problematico periodo storico in cui parte dell’Europa occidentale cristiana fu attraversata dal fenomeno noto come “caccia alle streghe”, ha lasciato tracce concrete anche in Valle di Susa. Tracce che spesso non sono chiare e nitide come vorremmo, ma si polverizzano all’interno del tessuto sociale e in alcuni casi svaniscono nelle trame della storia che assume caratteristiche tipiche della leggenda.
La caccia alle streghe è parte di un periodo storico che è stato facile preda del mito e della leggenda, assumendo connotazioni che in alcuni casi rendono problematica la ricostruzione di fatti e vicende di un tempo attraversato dalla grande paura del diavolo, con tutti i risvolti sociologici e culturali che tale paura poteva determinare. In fondo, basta pensare a quante tradizioni, luoghi comuni e credenze circolano in Valle di Susa, ancora oggi, intorno all’immagine della strega: miti che spesso hanno completamente trasfigurato la dimensione storica di fatti concretamente ancorati alla realtà.
L'impegno filologico, rigoroso e imprescindibile, deve comunque essere sollecitato dalle ipotesi, dalle intuizioni, dai messaggi criptici, anche dai paradossi, che quando sono smontati dalla scienza comunque offrono qualche opportunità per battere nuove strade di ricerca e per affondi critici più incisivi.
Infatti, come osservato da Marc Bloch, ci sono “lavori che resterebbero perennemente sul tavolo se si volesse ad ogni costo evitarvi, non solo le lacune impreviste, ma anche quelle che si prevedono senza possibilità di evitarle” (1).
Davanti a questa constatazione riaffiora una vecchia domanda: è possibile fare la storia della stregoneria, o si può fare solo la storia del concetto di stregoneria? Di fatto la storia della caccia alle streghe e dei suoi residui folklorici?
Chiarisce Franco Cardini: “ammesso che il concetto di residuo sia a sua volta sotto il profilo antropologico-storico plausibile, e che non sia invece l’esisto di un pregiudizio evoluzionistico-deterministico, cosa che io personalmente propendo a ritenere. In altri termini, ritengo che solo il corto circuito tra una cultura religiosa tradizionalmente antimagica come il cristianesimo, la maturazione del razionalismo teologico-filosofico tomistico (e non la caduta in qualche irrazionale) e l’insorgere della crisi europea tre-seicentesca abbiano potuto determinare lo sviluppo dell’immagine della malefica, nel senso a questa parola attribuito da Sprenger e da Kramer e divenuto paradigmatico” (2).
L’area valsusina, dove era molto forte la lotta contro le correnti eretiche, come peraltro nelle valli confinanti e del Delfinato, fu teatro di una guerra di religione in cui anche la stregoneria, in qualche modo, venne coinvolta.
Va infatti osservato che questi due ambiti della dissidenza culturale, in alcuni casi finirono per intersecarsi e confondersi, dando forma e sostanza ad una universo eterogeneo, con peculiarità molteplici in cui a dominare era spesso l’irrazionalità.
Chi si trova davanti ad un tema culturale come la caccia alle streghe, non può non sentire il fastidio pungente che corre sotto la pelle e scaturisce, spesso, dalla nostra virtuale impossibilità di verificare dei dati e di raggiungere una definitiva sistemazione del fenomeno in questione.
Ma questo è il prezzo che deve pagare chi sceglie di affrontare dei temi irti di pericoli ideologici e, di conseguenza, facile preda di luoghi comuni e di consuetudini interpretative.
Realisticamente, il ricercatore non può mai dirsi completamente indenne dai condizionamenti culturali e ideologici: le sue valutazioni dovrebbero provenire da un attenta osservazione dei fenomeni analizzati e svincolati dal peso delle credenze. Ma le opinioni sono spesso il prodotto dell'incontro-scontro tra valutazioni e credenze, in cui la parte effettiva e razionale si trova a dover convivere con suggestioni e con un modus operandi facilmente travisabile nella sua prima fase di approccio, quando cioè opera ancora a livello di esplorazione conoscitiva.
Sono sempre da considerare magistrali i metodi proposti dalla ricerca storica di autori come Le Roy Ladurie, Ginzburg, Duby, Cipolla, Dovies e altri, che hanno fatto del modello “microstorico” un esempio da seguire: esempio che, per quanto riguarda la storia della caccia alle streghe in Valle di Susa, ci pare possa essere adottato con profitto. Ci sono inoltre alcuni studi finalizzati all’analisi di singoli casi relativi al territorio alpino qui analizzato, condotti con rigore e apparsi spesso in riviste e monografie di carattere locale.
Sul versante del mito della strega non mancano raccolte di leggende e pubblicazioni, che naturalmente non possono essere considerate utili per il tipo di analisi qui condotta.
Tra i primi tentativi di fornire una ricostruzione storica obiettiva dei fenomeni di stregoneria caratterizzanti, anche, l’area valsusina, va ricordato quello di F. Gabotto, Roghi e vendette. Contributo alla storia della dissidenza religiosa in Piemonte prima della Riforma (1898), accanto al quale va posto un altro fondamentale contributo dello studioso piemontese: Valdesi, catari e streghe in Piemonte (1900). Utili indicazioni provengono anche da C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese (1881) e da G. Biscaro, Inquisitori ed eretici lombardi (1922).
Accanto a questi contributi in qualche modo “classici” (se pur datati), che hanno tracciato le linee guida per lo studio della caccia alle streghe in Piemonte, fornendo indicazioni importanti anche sulla Valle di Susa, va posto il fondamentale studio di G.G. Merlo, Eretici e inquisitori nella società piemontese del trecento (1977) che costituisce un punto di riferimento importante, irrinunciabile.
Un tentativo di sistematizzazione il tema delle streghe in Valle di Susa è stato condotto da Michele Ruggiero ormai quasi quarant’anni fa su “Segusium”: tentativo encomiabile, in cui però il legame strega storica-masca risulta ancora dominante e destinato ad appesantire la valutazione concreta dei fatti. Ciò è infatti chiaramente dimostrato dalle fonti utilizzate dall’autore (3).
Da parte nostra tenderemo a porre bene in evidenza la dicotomia tra la stregoneria della storia e quella che è frutto della leggenda: tra le povere donne spesso condannate a morte poiché vittime di una cultura alla ricerca di capri espiatori e la masca vi è una differenza abissale.
Nel caso ci si rivolga alla leggenda, è indispensabile partire da fonti raccolte sul campo, o comunque fare riferimento a quelle testimonianze che risultano diffuse nel tempo e di conseguenza, ci sia consentito, “storicizzate”. Utili anche i riferimenti toponomastici e il patrimonio di informazioni proveniente dagli studi di linguistica.
Per quanto riguarda questo volume, il lettore si troverà davanti a materiali storici, almeno per la gran parte del testo. Ogni capitolo affronta un tema o un fatto relativo alla stregoneria: i primi contestualizzano l’argomento in generale, quindi i successivi analizzano alcuni casi valsusini con i necessari approfondimenti di carattere storico-antropologico. Infatti il libro persegue sostanzialmente l’impostazione antropologica, privilegiando l’analisi degli aspetti culturali su quelli eminentemente storici.
Sono anche state considerate le evidenti relazioni tra eresia e stregoneria, relazioni importanti, soprattutto per le loro implicazioni di carattere sociologico e culturale, prima di ogni altro legame sul piano direttamente teologico, o legato al diritto canonico.
La parte finale dedica alcuni capitoli agli aspetti mitici della stregoneria, quelli rimasti impigliati nel folklore e attraverso i quali ha assunto una propria fisionomia le figura della masca che “fa la fisica”.
Nell’insieme una raccolta di testimonianze e occasioni di approfondimento intorno ad un tema certamente problematico e inquietante. Una base sulla quale costruire future ricerche che possano contribuire a definire sempre meglio la problematica figura della strega e quella di chi, per alcuni secoli, continuò a credere nei suoi misteriosi e diabolici poteri.
NOTE
1) M. Bloch, I re taumaturghi, Torino 1977, pag. LXVI.
2) F. Cardini, Le radici della stregoneria, Rimini 2000, pagg. 7-8.
3) M. Ruggiero, Streghe e diavoli in Val di Susa in “Segusium”, settembre 1968, Anno V. n. 5, pagg. 18-25. L’articolo è accompagnato da una “Nota della Redazione”, che ha il ruolo di assegnare una maggiore sostanza storica allo scritto di Ruggiero.