Davide Lazzaretti

  David Lazzaretti: l’ultima eresia popolare italiana  


 
Tavo Burat  


Dopo quasi 120 anni dalla morte, la figura di David Lazzaretti, il profeta contadino ucciso dalle «forze dell’ordine» nel 1878, rimane emblematica di una cultura alternativa di classi subalterne che spostano la loro ansia di giustizia e di trasformazioni sociali dal terreno dell’impegno «politico», civile, a quello delle soluzioni soprannaturali. Il movimento che lui creò, e che non finì – come invece erroneamente molti credono – con il suo assassinio, costituisce l’ultima eresia popolare italiana. 
 

David Lazzaretti nacque ad Arcidosso, nell’Amiata (Grosseto), nel 1834 ed era un barrocciaio, come il padre. Ebbe una giovinezza non molto edificante: il suo comportamento era quello del carrettiere toscano, facile sia al vino che ai dadi e alla bestemmia; tuttavia, riuscì da solo a imparare a leggere e si appassionò alla lettura di ogni libro che gli capitava per le mani, sia poemi che romanzi; benché lo scritto gli costasse sforzo, componeva versi prendendo a modello Dante e Ariosto. Sentì il fascino del Risorgimento e si arruolò volontario nella cavalleria piemontese prendendo parte alla battaglia di Castelfidardo (186o), dove le forze papaline furono travolte dal generale Cialdini. La sua «conversione» avvenne nel 1868, quando ebbe visioni di san Pietro che gli dettava una serie di «sentenze», che erano in realtà una miscellanea di luoghi comuni tratti dai quaresimali dei predicatori di quegli anni, che giravano le campagne tenendo le «missioni». Non appariva certo un «riformatore»: definiva infatti i protestanti, che chiamava anglicani e che erano molto attivi nell’opera di evangelizzazione d’Italia (in realtà speravano che la liberazione d’Italia dal potere temporale e dalle piccole monarchie bigotte asburgiche o borboniche avrebbe avuto come conseguenza la vittoria della Riforma in Italia: questa non fu l’ultima ragione delle simpatie inglesi – anglicane, appunto! – per la causa dell’unità e indipendenza d’Italia), «eretici e incredenti, disonesti, immorali e scandalosi», perché «nella sola Chiesa di Roma si conserva il Santo Evangelo e tutte le verità che sono congiunte in esse per divino diritto»; e ammoniva: «chiudete la bocca a coloro che gridano libertà, libertà, e trattateli da stupidi». Tale atteggiamento gli aveva accattivato la simpatia di legittimisti francesi e di elementi reazionari contrari all’unità italiana, nonché di sacerdoti ultraconservatori d’oltralpe, che credettero di riconoscere in lui il «grande monarca» discendente dai re di Francia e predestinato alla grande restaurazione del trono e dell’altare.
In realtà, benché questi ambienti conservatori non se ne fossero resi conto, David non tardò a prendere le distanze dalla Chiesa di Roma. In quello stesso 1868 riuscì ad avere un incontro con Pio IX, che invitò a farsi promotore della rigenerazione della Chiesa, ma da cui ebbe una risposta vaga e paternalistica che lo deluse profondamente. La sua esaltazione mistica crebbe ancora nel 1869, quando si fece addirittura murare in una grotta di Montorio per 47 giorni, cibandosi di pane di granoturco che gli veniva gettato attraverso un pertugio. Sempre nel 1869 fondò l’Istituto degli Eremiti, primo nucleo del suo movimento, di cui rappresentò sempre la parte essenziale, formata dai credenti più impegnati e fedeli, paragonabili a coloro che tra i Catari, avendo raggiunto il grado più alto di iniziazione alla gnosi, erano definiti i «perfetti». Sul Monte Labbro (che d’allora egli ribattezzò Làbaro) iniziò con i suoi seguaci la costruzione di una grande torre nuragica. All’inizio del 1870, visse per un mese come eremita nell’isola di Montecristo, di cui era l’unico abitante. In quell’anno, i suoi discorsi profetici sulla fine del mondo, e cioè, nella tradizione millenarista, la fine del sistema basato sullo sfruttamento e sull’ingiustizia, con l’imminente istituzione della «Repubblica Celeste», gli procurarono le prime persecuzioni: fu incriminato per sedizione, ma poi prosciolto. David aveva infatti incontrato il messaggio messianico delle presunte lettere di san Francesco da Paola: uno scritto apocrifo pubblicato dagli ambienti reazionari, ma che conteneva invettive nei confronti dei «prelati avidissimi alla rapina per divorare le pecorelle di Gesù Cristo ed i beni di Santa Chiesa senza mai ricordarsi dei poveri di Gesù Cristo benedetto»; in quelle predicazioni, si diceva anche che «Iddio onnipotente esalterà un uomo poverissimo del sangue di Costantino imperatore e del seme di Pepino il quale porterà in petto il segno della croce».
Il suo prestigio tra i compaesani cresceva: era riconosciuto da molti come il profeta destinato a «guidare il suo popolo alla rigenerazione». Nel 1871, accanto all’Istituto degli Eremiti, David fondò la Santa Lega e Fratellanza Cristiana che riuscì in poco tempo a organizzare tutti gli abitanti dei villaggi vicini, nella prospettiva di migliorare radicalmente le condizioni di esistenza delle masse contadine della zona, con la finalità di assistere i membri ammalati e indigenti, gli orfani, le vedove e persino i viandanti ammalati. Con un fondo comune, costituito dai contributi dei soci, si acquistavano generi alimentari all’ingrosso per rivenderli al prezzo di costo. Una «cooperativa» ante litteram, regolata e gestita democraticamente (alla cui direzione era riservato un posto per una donna), che sopravvivrà alla morte di Lazzaretti. Nel 1872 Lazzaretti realizzerà il suo più ardito tentativo di adeguare le strutture sociali ai dettami evangelici, fondando la Società delle famiglie cristiane. Il regolamento proclamava che scopo della Società era «formare di tante famiglie una sola famiglia comune». In effetti, più di 8o famiglie misero in comune i terreni, il bestiame, i risparmi e il lavoro, ricevendo dalla Società il cibo, l’istruzione per i figli e il vestiario. Furono così aperte le prime scuole rurali nella zona: i due sacerdoti che avevano aderito al movimento del Lazzaretti vennero regolarmente assunti dalla Società, nella quale, come sottolinea giustamente Antonio Moscato, forse per la prima volta le donne ebbero diritto di voto ed elessero proprie rappresentanti a pari titolo con gli uomini. Poiché oltre alle 80 famiglie aderirono anche braccianti, sarti, falegnami, muratori, scalpellini, carrettieri e pastori, si dovettero affittare grandi appezzamenti di terreno da coltivare in comune nella zona dell’Amiata. I membri della Società avevano una specie di uniforme: indossavano abiti di lana color cenere, e sul cappello portavano un cordone a tre giri con cinque nodi («come le piaghe del Signore e i nodi della verga di David»). Sulla facciata delle case di proprietà dei soci fu murata la sigla che David portava sulla fronte: )†( , che diceva essergli stata impressa da san Pietro in una delle prime visioni. La predicazione apocalittica di David, che prediceva, secondo la tradizione millenaristica, la fine del mondo e quindi del sistema fondato sullo sfruttamento e sull’ingiustizia, non mancò di procurargli persecuzioni. Incriminato per discorsi sediziosi, fu prosciolto nel 1870 e poi ancora nel 1874 dalla Corte d’Appello di Perugia (dove fu difeso dall’avv. on. Mancini). Ma nel 1873, durante il periodo di detenzione, i due amministratori della Società, scelti tra i «competenti» – che erano anche i più abbienti – approfittarono dell’assenza di David per appropriarsi di parte dei beni comuni, la cui proprietà non poteva essere intestata alla Società poiché a quel tempo la legislazione italiana non riconosceva gli istituti cooperativi. Così, dopo soli due anni, si sciolse la Società, che pure aveva esercitato una feconda attività. Nel 1875, avvertito che si stava preparando un nuovo processo, il Lazzaretti si rifugiò in Francia; ciò comportò una nuova crisi delle attività economiche (sempre per problemi di intestazione dei beni): David decise pertanto di sospendere ogni attività e di dividere il ricavato tra tutti i membri rimasti fedeli. La protezione riservatagli dagli ambienti legittimisti francesi presentò il Lazzaretti come catalizzatore eventuale di un’armata contadina della restaurazione dello Stato pontificio: ci fu in effetti un tentativo fallito di strumentalizzarlo in tal senso.

Il profeta, nel suo Libro dei Celesti fiori, riprendeva la famosa «divisione dei tempi» secondo la dottrina millenaristica di Gioacchino da Fiore e anche sostanzialmente degli Apostolici del Segarelli e di Dolcino: l’imminente età dello Spirito, dopo quella del Figlio, e cioè della venuta di Cristo, e del Padre, quella dell’Antico Testamento e dei profeti. I due sacerdoti collaboratori di David furono sospesi a divinis; il profeta fu convocato a Roma dal Sant’Uffizio, dove lo si convinse a una temporanea generica ritrattazione, ch’egli poi disconobbe, riaffermando di essere «il Gran Monarca, Cristo, Duce e Giudice» e quindi un’autorità superiore a quella del papa, per cui era nulla la sanzione contro i due sacerdoti; la «condanna della Chiesa» divenne per David e per i suoi seguaci «condanna alla Chiesa». Proclamò l’abolizione della confessione auricolare, la temporaneità delle pene infernali e la fine del celibato ecclesiastico, unitamente all’impegno di riscattare con l’aiuto di Dio le condizioni materiali e spirituali dei contadini. Rientrato in patria dopo un breve soggiorno in Francia, nel luglio 1878 annunciò che il 14 agosto «si sarebbe manifestato al popolo latino» per dare inizio all’era della Riforma dello Spirito Santo. In una serie di «editti» disegnò una nuova società ideale senza l’ingiustizia e l’egoismo dominanti, insiti nel concetto di proprietà: tutto ciò che appartiene alla creazione è stato donato dal Creatore come bene comune a tutta la progenie degli uomini. È evidente che un tale «socialismo mistico» preoccupasse i benpensanti e le «autorità costituite». Il movimento, composto all’inizio di piccoli proprietari e artigiani rurali, poteva ormai contare anche su braccianti e mezzadri. Gli «evviva alla repubblica», anche se «celeste», suonavano di sfida al regno d’Italia. David veniva ormai «decodificato» dalle classi egemoni e dirigenti come «socialista» affiliato persino all’Internazionale, benché egli avesse sempre usato il termine «socialista» in senso negativo, dato che attendeva la sconfitta dell’ingiustizia sulla terra da una soluzione soprannaturale. Ma la campagna allarmistica darà i suoi frutti, quando il 18 agosto, in occasione di una grande processione che scendeva dal Monte Labbro, un bersagliere colpirà in pieno con una fucilata David Lazzaretti, fermo, a braccia aperte nel gesto rappresentante la croce. Gli storici sono propensi a credere che il ricorso alla forza, per stroncare il movimento, sia stato suggerito direttamente dal ministro degli Interni per porre fine alla «sedizione». Il delegato della polizia di Stato De Luca, che aveva ordinato di far fuoco sulla processione inerme, sarà infatti decorato al valor civile, proprio come, vent’anni dopo, sarà decorato il generale Bava Beccaris per aver sparato a Milano sui mendicanti in attesa di una scodella di minestra offerta dai frati!

Se la Società delle famiglie era già stata sciolta nel 1875, la Santa Lega o Fratellanza cristiana continuerà ancora nel nostro secolo, sino a quando sarà sostituita dal sindacalismo confederale, la Società degli Eremiti si trasformerà nella piccola comunità religiosa tuttora viva ad Arcidosso e a Poggio Marco si conserva tuttora l’archivio della «chiesa giurisdavidica». I seguaci di Lazzaretti divennero tutti in politica ardenti repubblicani; e poi la quasi totalità dei giurisdavidici appoggiò il Pci fin dalle prime elezioni del dopoguerra.
A Roma si formò un piccolo gruppo di neo-giurisdavidici riuniti intorno a una «veggente», tuttora in vita, Elvira Giro. Dopo un tentativo di fusione con il gruppo originario dell’Amiata, quest’ultimo non volle avere alcun rapporto con i «romani», molto diversi, che pretendevano di trasformare radicalmente il lazzarettismo. «La Chiesa giurisdavidica di Monte Labbro continua nella sua autonomia di fede sotto la guida di Turpino Chiappini, Aristodemo Fatarella ed altri confratelli», come ebbe a scrivermi nel 1978 – l’anno del centenario del tragico epilogo – lo stesso Chiappini, residente a Zancona di Arcidosso. Sull’Amiata esiste tuttora la torre e l’eremo innalzati sotto la guida del Lazzaretti e restaurati dal gruppo romano che, nel 1975, poco sotto la punta del monte ha eretto un edificio a tre piani (per sistemarvi l’Altare della Grande Madre) che secondo Moscato deturpa non poco il paesaggio. Il gruppo romano ha ottenuto il riconoscimento come «chiesa» e pubblica saltuariamente il periodico «La torre davidica» nonché una serie di quaderni della gnosi di Elvira Giro (una specie di moderna Guglielma Boema?). I lazzarettisti dell’Amiata continuano tuttora i loro culti.

Vanno sottolineati alcuni aspetti del contesto in cui è nato il movimento del messia dell’Amiata. Inizia negli anni del peggioramento delle condizioni nelle campagne conseguente all’Unità d’Italia, il cui costo economico è stato pagato grazie alla Cassa depositi e prestiti che attingeva ai magri risparmi depositati dai contadini agli Uffici postali, alle rimesse degli emigranti, all’accumulazione di capitali dovuta allo sfruttamento del lavoro minorile e femminile e, in generale, ai salari operai di mera sussistenza. Giunge alla rottura con la società nel 1878, anno pressoché catastrofico nel settore agricolo. In quello stesso periodo il parroco di Lentinio (Matera) incita il suo gregge a far causa comune con gli anarco-internazionalisti rivoluzionari, «veri apostoli mandati dal Signore per predicare le sue leggi divine» (aprile 1877; il 1878 sembrava dovesse essere l’anno dell’insurrezione anarchica e proprio nell’agosto si celebrarono i processi per il tentativo rivoluzionario nel Matese).
Per altro verso, siamo in un periodo di dilagante profetismo. In quel medesimo 1878, una povera giovane donna di Sordevolo, paesetto dell’alta valle dell’Elvo in provincia di Biella, che si chiamava Maria Illuminata Massazza, pubblicava in un suo paradossale libro devozionale le rivelazioni avute dallo Spirito Santo. Corrispondeva con il Padre Eterno e con san Pietro e, venerata già in vita come santa, riuniva intorno a sé una confraternita «paleocarismatica» formata soprattutto da donne. Era protagonista di una religiosità cattolico-popolare non gradita dai parroci e dai vescovi via via succedutisi nel tempo, dato che la devozione delle «sante» è giunta sommessa e sommersa sino ai nostri giorni. Anche questa profetessa analfabeta (il libro fu scritto sotto dettatura da volonterose «segretarie» piemontesi monolingui per le quali comprendere e esprimersi in italiano era quasi un miracolo di glossolalìa), pur professandosi devotissima fedele cattolica, non risparmiava strali alla Chiesa romana. Dio, infatti, così le avrebbe parlato: «Dunque perché è essa [Maria Illuminata] povera, da tutti è beffeggiata e da tutti calpestata sì da molti è ingiuriata che persino gli bramano la morte tutti i giorni di più i quali sono tutti i studenti increduli ed ancor molti del Clero […]. Se fosse stata una Suora oppure una Regina di terra l’avreste mai abbandonata se avreste creduto Iddio invisibile che nel suo cuore sempre vegliava ma che lo bramava di nuovo come nella capanna di Betlemme io nacqui da mia madre e volli sicuramente abitare nel suo povero cuore […] e voi del Clero credete pure che io in un palazzo non voglio abitare. Giammai palagi di questa terra ne giammai li amerò […] e quel che voglio ancora rimproverarvi voi tutti del Clero che la mia Dottrina è molto alterata». La Massazza morirà due anni dopo, nel 1880. Un profetismo, dunque, che rispecchia lo stato di crisi profonda della Chiesa cattolica. D’altra parte, non si trattava soltanto di profetismo popolare, poiché veniva ufficializzato anche dalla Chiesa di Roma. Dal 1860 al 1874, la «Civiltà Cattolica» pubblica continuamente recensioni e indicazioni su centinaia e centinaia di testi profetici, i miracoli fioriscono dappertutto e dilagano le apparizioni della Madonna (a cominciare dal 1846 alla Salette, alpeggio francese nell’Isère, dove apparve la prima Madonna dispensatrice di profezie apocalittiche). C’era anche una corrente ultraconservatrice, oppositrice di ogni tentativo di riforma liberale nella Chiesa, come quella del sacerdote bolognese Bernardino Negroni (già padre Barnaba, francescano minore riformato), fondatore nel 1878 della rivista «La tromba apocaliptica». Nelle sue memorie, riporta la notizia relativa all’assassinio di David Lazzaretti, indicandolo addirittura come precursore dell’anticristo per la pretesa di apparire quale Cristo reincarnato con i segni opposti  )†( . 

Il Lazzaretti si inseriva in una tradizione profetica anche locale, già manifestatasi nella cultura popolare del territorio grossetano. Infatti, intorno alla prima metà del Cinquecento, si aggirava per le campagne del Senese e dell’Amiata un personaggio cencioso, vestito di rozza tunica, scalzo, con un rosario intorno alla vita a mo’ di cintura in cui erano infilate ossa di morto, con le quali percuoteva un teschio a mo’ di tamburo esortando la gente alla rettitudine dei costumi, affermando vicini la fine del mondo e il giudizio. Si chiamava Bartolomeo Garoni, detto Brandano, il «pazzo di Cristo», a cui vengono attribuite profezie, ma anche insulti al papato corrotto, ai sedicenti cristiani senza morale. Il suo pensiero non verrà mai codificato, ma fissato nella memoria di classe, e molti suoi detti sono attribuiti anche a David Lazzaretti, cosicché nella tradizione popolare sovente i ricordi relativi ai due personaggi si sovrappongono.
Poco prima che iniziasse la vicenda del «messia dell’Amiata», intorno al 1846 risiedeva a Castel del Piano un penitente misterioso, che operava nella montagna, Baldassarre Audibert; la voce popolare lo dice vescovo francese, o ufficiale belga, in realtà sembra fosse un vercellese, Audiberti, stabilitosi nella zona durante un pellegrinaggio verso Roma, e lo descrive come una persona scarmigliata, dall’aspetto molto trascurato. Nulla è rimasto delle prediche di Baldassarre, tranne il ricordo di una sua tendenza apocalittica. 

I fedeli della chiesa giurisdavidica hanno lasciato perdere ogni riferimento al «gran monarca» e alle pretese origini regali del loro fondatore: oggi con orgoglio ricordano che il «Santo David» proveniva dallo «sterco delle strade» e aveva esercitato i più umili mestieri. Se le pretese rivelazioni, gli inni a Maria, i teatrali atteggiamenti, il finire col considerarsi un messia più che un profeta (ma i suoi seguaci della montagna oggi lo ritengono un «santo profeta», lasciando ai «romani» la tesi estrema di riconoscerne una reincarnazione divina), differenziano notevolmente Lazzaretti dagli evangelici delle varie denominazioni che in quegli anni operavano nelle campagne italiane, possiamo invece riconoscere punti di contatto con fra Dolcino, a partire proprio dal comune profetismo millenarista; senza dimenticare tuttavia che le intuizioni radicali del capo degli Apostolici fanno di quest’ultimo un precursore della Riforma (o meglio dell’anabattismo rivoluzionario), piuttosto che una reincarnazione del Messia. A tracciare il parallelo, ci penserà comunque la «Civiltà Cattolica» nel 1978 (p. 78): «Questo sciagurato [Lazzaretti], che tra il falso e l’impostore non sai qual fosse più, era riuscito a fondare una nuova setta, non punto dissimile da quella del fra Dolcino mentovato dall’Alighieri nel canto XXVIII dell’Inferno, ed ebbe a finire di mala morte come fra Dolcino. Lo scopo della setta era una specie di socialismo e comunismo fin nelle donne, che dovea cominciare con spartire ugualmente fra tutti le proprietà dei possidenti, e finire con la sostituzione del Lazzaretti a ogni autorità divina e umana che sia su questa terra […]. Lazzaretti era, in fondo in fondo, un socialista, il quale per gabbare i villani e trarseli dietro a compiere l’impresa procedeva in maschera di cristiano». Senza alcuna pietas cristiana, quasi gongolando per la mala morte (a opera di chi? Forse il Cristo ne fece una migliore?), rimasticando decrepite accuse agli eretici (le «donne in comune».., perché alla Chiesa di Roma ripugna la parità «eretica» tra i due sessi), cent’anni dopo l’assassinio di Stato i custodi dell’ortodossia cattolica non hanno riveduto di una virgola il loro giudizio.
La testimonianza di David fu, come quella di Dolcino, originale nella proposta vissuta di una nuova società di liberi e di uguali. Entrambi riuscirono, sia pur per breve tempo, a realizzarne un modello, sulla falsariga del primo comunismo cristiano. Per questo furono uccisi. Per questo, ecumenicamente, si perdona a Lutero, ma non a fra Dolcino, a Tommaso Mùntzer, a David Lazzaretti. I quali, d’altra parte, non chiedono di essere perdonati.   


Per maggiori notizie e la bibliografia:

Studio bibliografico su DavidLazzaretti, profeta dell’Amiata, a cura di Leone Graziani, La Torre Davidica, Roma 1964. – Arrigo Petacco, Il Cristo dell’Amiata. La storia di David Lazzaretti, Mondadori, Milano 1978. – Antonio Moscato, DovideLazzaretti: il messia dell’Amiata, Savelli, Roma 1978. – Davide Lazzaretti e il monte Amiata. Protesta sociale e rinnovamento religioso. Atti del Convegno di Siena e Arcidosso, 11-13 maggio 1979. A cura di Carlo Pazzagli, Nuova Guaraldi, Firenze 1981. – Tavo Burat, El liber rivelà da lë Spìrit Sant, in «Armanach piemontèis – Almanacco piemontese 1980», Viglongo, Torino 1979, pp. 159-170 (su Maria Illuminata Massazza). 

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